LE PAROLE DI TROPPO


La dittatura del "precedente" genera mostri; chi si occupa di cerimoniale per mestiere sa (anche se non sempre ne è consapevole) che riferirsi a comportamenti già avvenuti  - la cui conoscenza rappresenta una risorsa, come ogni forma di sapere - allontana dalle assunzioni di responsabilità.

Ma il timore di sbagliare informa di sé anche il quotidiano, e capita di dire, fare o scrivere cose solo perché così si è "sempre sentito", senza considerare che gli atteggiamenti condivisi hanno tempi di consolidamento del tutto inadatti all'evolversi delle società (è sempre stato vero, oggi succede più velocemente che in passato).

Insomma, facendo come si è (sempre) sentito dire che fosse giusto, ci sentiamo come "protetti", "rassicurati". E in definitiva, crediamo di correre meno rischi di sbagliare. Naturalmente non è così.  

Per verificare la pigrizia al cambiamento di locuzioni improbabili, vale la pena di controllare il libretto degli assegni, l'ultima comunicazione del condominio o altra (perfino online) burocratica corrispondenza: prima della data, una volta su tre, c'è scritto "LI'". "Roma, lì 18 marzo 2016", "Catania, lì 18 marzo 2016". Perché "LI'"? Si vuole sottolineare che la comunicazione è stata scritta "lì" e non "qui"? Naturalmente no. Si tratta di un relitto del passato, quando le lettere cominciavano con la data scritta più o meno così: "Roma, il secondo giorno di settembre del 1762", volendo intendere che erano trascorsi "li primi due giorni del mese di settembre". Da allora un articolo è rimasto, muto testimone di pigrizia mentale, e "luogo-LI'-data" continua a trovare posto in centinaia di migliaia di missive l'anno, nonostante non significhi più niente.

Dell'abuso di appellativi, del "Piacere" nell'essere presentati, del vezzo abusato di colazione al posto del pranzo abbiamo detto più volte. Ma ci sono molte altre piccole cose che capita di dire quasi senza pensarci, e non vanno (più) bene.

E' permesso? Qualcuno entra nella casa di qualcun altro (che, se a casa propria non l'ha portato direttamente, quantomeno gli ha aperto il portone) e dice: "E' permesso?". L'altro non potrebbe rispondergli di no semmeno se volesse... Decisamente, la domanda è impropria. Quando si sta per entrare (bene accetti, è evidente) in casa d'altri, si fa ingresso, si saluta chi c'è e basta. Solo nel caso in cui, entrando in una stanza la cui porta è aperta, si sospetta che ci sia qualcuno che potrebbe avere una qualche sorpresa in ragione del nostro arrivo, è consentito annunciarsi con un: "C'è qualcuno?" oppure "Posso entrare?" o una qualche formuletta simile.

Stiamo per andar via al termine di una serata, una visita, una cena. "Tolgo il disturbo" o "Non vogliamo disturbare oltre" hanno il senso dell'assurdo: se avessimo avuto davvero idea di disturbare, in quella casa, in quella circostanza, non avremmo neppure dovuto metter piede... "Ciao", "Arrivederci", "A presto" sono sempre sufficienti.

In generale, è quasi sempre improprio l'uso di parole "antiche" ritenute più "consone" a un contesto di maggiore educazione. Signora o signorina? Le signorine non ci sono più, è evidente, passata la pubertà, e nemmeno le zitelle. Le cose vanno chiamate con il loro nome. Piedi (chi si ricorda il Ferrini di "Quelli della notte"?) si può dire, se li si deve chiamare. Bagno si può dire, se lo si deve chiamare. Genitali si può dire, se li si deve chiamare. Estremità inferiori, toilette e pudenda NON sono parole migliori degli originali. Figuriamoci "brutto male" rispetto a cancro o "ehm, beh, sai" rispetto a gay.

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