IL POMERIGGIO DEL TE'


20/09/2006

Chissà se dopo l'happy hour, il tè pomeridiano riuscirà mai a consolidarsi nelle abitudini e nel costume degli italiani. Chissà se addirittura per i britannici, al di là di una cerchia di stereotipata aristocrazia, è mai stato veramente l'appuntamento conviviale per eccellenza.

Vero è che il tempo di oggi conosce una rifioritura di questa leggendaria consuetudine di marca anglosassone, dovuta alla necessità di trovare una formula per riunire fra loro le signore donne, escludendo di fatto gli uomini.  Gli uomini, si sa, trovano nello sport (ah, il calcetto...), un modo per tornare a essere "single" nello spirito, nel linguaggio e nel comportamento; le signore (giovani, anche, ed è questo che fa tendenza) hanno ricominciato a usare il tè.

L'orario è flessibile, spazia dalle sedici alle diciannove, volendo, e non intacca la sera. Inoltre, il pomeriggio dei piccoli sempre più spesso si intreccia con quello dei coetanei, e non è raro che l'invito a un tè coincida con una "loro" occasione di incontro. Il tè, a volte, si trasforma così in un modo elegante per "gestire" gli adulti che sono venuti a casa per accompagnare i figli. 

Al contrario dell'aperitivo, dove viene chi vuole e che, come tutto nella società della frenesia e della scarsità di tempo nella quale viviamo, è in-formal, al tè si invita. A essere invitate sono le persone con le quali si ha la confidenza ed è raro che in queste occasioni facciano la loro comparsa le amicizie "toccata e fuga" (quelle dell'aperitivo...); chi è invitato a un tè, anche se non conosce bene la padrona di casa, è egualmente chiamato ad entrare in un "giro", a condividere un codice, un linguaggio comune.

E' bene sia così: in mancanza di piena complicità fra i (le) presenti, il rischio che il pomeriggio del tè si trasformi in una angosciosa fiera di ovattato perbenismo e di obbligati comportamenti "comme il faut" è altissimo.  Al tè non si offre solo il tè (succhi di frutta e analcolici, tanto per variare), ma l'infuso la fa da padrone, è ovvio, e chi partecipa al rito lo trova a volte come un modo per staccarsi dal proprio quotidiano veloce e ritrovarsi in un limbo insolito di consuetudini antiche.

Accanto al bere, alcune cose da mangiare. Pasticceria mignon fresca e secca, certo, ma anche qualche sandwich e, se si riesce, un dolce preparato dalla padrona di casa. Ultima cosa: pur essendo assai meno romantico della romantica (sfusa) materia prima, il sacchettino si può usare: è troppo più comodo e pur non rappresentando l'eccellenza del prodotto vi fanno ricorso anche marche di assoluto riguardo.

La generalizzazione delle bustine da infuso ha certo ridotto di molto la possibilità di ricorrere agli "usi sussidiari delle foglie da tè (predire il futuro o l'arrivo di visite, alimentare i conigli, lenire le scottature e spazzare il tappeto)" alle quali si riferiva George Orwell (A nice cup of tea, su Evening Standard del 12 gennaio 1946): resta però attualissimo il suo invito a trattare con cautela la "misteriosa etichetta sociale che circonda la teiera", e ciò non soltanto perchè il tè "è uno dei pilastri fondamentali della civiltà nel nostro paese" ma anche "perché il modo migliore di fare il tè è oggetto di violente dispute".  Non da noi, ma chissà che un giorno anche gli spiriti latini riescano ad appassionarsi quanto gli anglosassoni a quelle diatribe ludiche che superano le frontiere delle controversie intellettuali e - dal calcio al bridge - occupano, in modo bizzarro ma civile, tanto del tempo che oltremanica viene così diversamente impiegato.

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