Non capita quasi più di invitare a pranzo o cena tanta gente (di solito peraltro in pubblici locali; a casa gli spazi raramente lo consentono), ma qualche volta succede: matrimoni, feste di famiglia, occasioni conviviali di gruppi. In questi casi il numero e la sistemazione dei tavoli è essenziale, prima ancora della pur importante ma logicamente successiva operazione di assegnazione dei posti.
1) Con più di 20/24 ospiti è sempre preferibile un buffet (in questa circostanza, avere tavoli d'appoggio con tanti posti quanti sono gli invitati è perfetto); altrimenti, andrebbe scelta una soluzione con tavoli multipli piuttosto che - non è superfluo ricordarlo perché ci sta chi lo fa - uno solo o, peggio, due "imperiali", ovvero, peggio ancora, un "ferro di cavallo".
2) Volendo proprio far servire a tavola, per allestire una sala con più tavoli ne occorrono di rotondi od ovali. Gli ovali piccoli sono eleganti e comodi, ma difficili da trovare. Si incontrano con maggior frequenza i rotondi, dal diametro di 150-180 centimetri, sui quali vanno da sette a dieci persone. I tavoli tondi possono essere apparecchiati anche in numero dispari, soprattutto se non vengono piazzati.
3) Quanto al piazzamento, se ci sono più tavoli una scelta frequente e comoda è quella di indicare singolarmente i posti solo nel principale - che andrà sistemato preferibilmente al centro della sala - ed evidenziare in uno schema riassuntivo, sistemato all'ingresso o dove verranno serviti gli aperitivi, la distribuzione schematica degli ospiti negli altri tavoli (alternativamente o contestualmente, agli invitati può essere consegnato un bigliettino con indicato il tavolo verso il quale dovranno indirizzarsi, ma non il proprio posto nel tavolo; ciascuno siederà dove crede).
4) Un unico tavolo rettangolare - meglio con i terminali tondi, in modo da poter aggiungere due coperti sui capotavola giocando sul semicerchio - va bene fino a venti persone (oltre le sedici, e con questo accorgimento si può arrivare fino a ventiquattro, funziona meglio un piazzamento all'inglese, con i "padroni di casa" sui lati corti del tavolo). Per ogni coperto dovrebbero essere calcolati 75 centimetri. Attenzione alla larghezza del tavolo: sono ideali i 100/120 centimetri, ma se si superano i 150 per parlarsi tra i due lati occorre il megafono.
5) Non si dovrebbero mai apparecchiare tavoli da una parte sola (né essendo costretti a usare un ferro di cavallo né proponendo un tavolo rettangolare con tavoli di fronte). E' una sistemazione alla quale si ricorreva per mostrare il principe a tutti gli invitati, e non ha più ragione di esistere. Intanto perché risponde alla stessa logica della pubblica distribuzione del pasto ai leoni del bioparco; poi per il fatto che non si ha una seconda scelta in caso di vicini sgradevoli o noiosi. Mafalda Di Savoia [1902 - 1944] parlò quasi esclusivamente con Adolf Hitler [1889 - 1945] il 4 maggio 1938 a un famoso pranzo a corte; lui conosceva solo il tedesco e la principessa fu ospite cortese, ignara della sorte che l'aspettava a Buchenwald. Forse avrebbe preferito, lei, quel giorno, poter scambiare qualche parola anche con un interlocutore seduto di fronte. Ma il tavolo, purtroppo, era apparecchiato su un unico lato.
"Riesco a dirle di chiamarmi Ministra?". La satira coglie sempre la direzione delle cose. Nelle feroci imitazioni di Valeria Fedeli, Ministra (o Ministro?) dell'Istruzione, Maurizio Crozza ci pone implicitamente una domanda: ha senso preoccuparsi delle differenze di genere nel linguaggio comune?
Di certo, tra le modificazioni proposte alla lingua italiana da inglesismi, cyberlinguaggi e politically correct, la declinazione al femminile delle cariche pubbliche è una delle più evidenti e controverse: Sindaca, Assessora, Ministra, Consigliera... Ha senso (pre)occuparsene? Secondo noi sì, ne ha.
Ne ha non dal punto di vista lingustico, evidentemente. Anzi, presa da quel lato la discussione è surreale: "Perché autista e non autisto, allora?". Perché nessun autista vede nella declinazione al maschile dell'attività che svolge il segno della propria emancipazione...
Resta da capire la ragione per la quale si possa dare alla Madre di Dio l'appellativo di "Avvocata" (nostra) mentre in qualche Tribunale di provincia continua a essere consuetudinaria l'ironia Signora Avvocato/Avvocatessa, accompagnata da gran darsi di gomito. Ma forse questo, come si soleva dire, "prova troppo".
In mancanza di "normativa" la diatriba non può che dipanarsi intorno alla volontà del soggetto ("soggetta" no, eh) assurto a una carica qualsiasi da sempre declinata al maschile, che deve poter scegliere come chiamare se stessa. "Il Presidente", "La Presidente". E La Presidenta (come in Argentina)?
Alla Camera Dei deputati la carta intestata della carica amministrativa apicale recita "La Segretaria Generale", mentre quella della sua omologa al Senato non è mai cambiata, era e rimane "Il Segretario Generale". "La Segretario Generale" per entrambe probabilmente avrebbe potuto rappresentare una buona soluzione.
Ora, è vero che l'informazione secondo la quale Laura Boldrini pretendesse di essere chiamata "Presidentessa" è un fake, ma se avesse voluto, sarebbe stato giusto? Forse sì, perché del proprio appellativo la Presidente della Camera aveva dal primo giorno fatto una questione di principio.
La neonata legislatura, comunque sia, è partita nel senso della discontinuità. Maria Elisabetta Alberti Casellati si farà chiamare: "Signor Presidente". La domanda è: cinque anni con "La Presidente" (della Camera) sono entrati nel linguaggio comune tanto da aver reso desueto il maschile? Perché con "Ministro/a" sta (purtroppo) succedendo...
Vedremo. Per ora, nemmeno l'Accademia della Crusca se l'è sentita di sposare la causa della presunta illiceità dei neologismi cacofonici, e se da un lato ciascuno deve essere libero di farsi chiamare come crede, è anche vero che interpretare la grammatica come battaglia politica forse non aiuta né la politica né l'Italiano.
Come la pensiamo al riguardo sta scritto qui. Non può essere il linguaggio a cambiare le cose, devono essere le cose a cambiare il linguaggio. Rimane il rammarico di constatare che in Italia un po' tutti siamo tentati di risolvere i problemi come quando la Nazionale non segna: basta che i giocatori cantino l'inno.