FACEBOOK


Il rapido, travolgente successo di Facebook, con i suoi 175 milioni di utenti nel mondo mostra numeri da capogiro (peraltro, i suoi fratelli minori non sono da meno. Myspace conta 81 milioni di utenti, Netlag 42, LindedIn 36, Badoo 13, Twitter 6). Sono cifre da far impallidire il prime time di una tivù commerciale. Sono “social network”. Sono l’ultima faccia della modernità. Chi non ricorda le vecchie, care chat? Qui siamo su un altro pianeta.

L'idea di cercarsi in rete nasce con la rete stessa. Poco più di dieci anni fa, all'alba dell'era di internet, un avvocato americano, Andrew Weinreich, lanciò un sito basato sulla teoria dei “sei gradi di separazione” – da una grande commedia di John Guare e il successivo omonimo film – che ritiene possibile raggiungere una qualsiasi persona con al massimo cinque intermediari: SixDegrees.com. Pochi anni dopo apparvero Friendster, una catena di Sant’Antonio di “amici degli amici”, Linkedin, il primo focalizzato su contatti professionali, e Myspace.

Nel 2004 ha visto la luce Facebook per una trovata di un ragazzo diannovenne, Mark Zuckerberg, che voleva – così narra la leggenda – fare nuove amicizie ad Harvard, creando un annuario digitale degli alunni. Rupert Murdoch ha acquistato Myspace per 580 milioni di dollari, mentre Facebook ha un valore stimato di 15 miliardi di dollari. Magari non sono davvero così tanti, ma TANTI sono comunque.

Pare che circa dieci milioni di italiani, soprattutto uomini tra i 18 e i 44 anni, trascorrano sui social network circa 30 minuti al giorno. In questa gigantesca piazza virtuale ci si incontra (si dichiara di incontrarsi) soprattutto per i gusti musicali, le letture, le preferenze cinematografiche. Ma evidentemente non manca l'amore, benché tutti sappiano che su internet si appare sempre migliori di come si è veramente, e che l’incontro di persona approdi per lo più a una delusione.

Naturalmente questa incredibile trasformazione della comunicazione, che ha fatto parlare di “vera e propria mutazione antropologica” (Focus di maggio), richiede regole di comportamento nuove. Non stiamo parlando di come evitare le truffe o i programmi sofisticati con i quali le aziende vi raggiungono con offerte di prodotti mirate. Parliamo delle vecchie regole di buona educazione.

1) Un gruppo di amici virtuali non dovrebbe andare oltre il numero di persone che si conoscono nella vita reale: il proprio potenziale di amicizia si può misurare da questo.

2) Vietato inventare identità (peraltro il passo a forme di psicosi è più breve di quanto si immagina: le sale d’attesa degli psicanalisti sono piene di frequentatori abituali di chat).

3) Nei forum non sono infrequenti i troll, presenze che si fingono interessati ai temi della discussione solo per creare attriti e alimentare litigi: non si fa.

4) Non si dovrebbe chiedere di fare amicizia a perfetti sconosciuti (vietato abbordare “virtualmente” giovani frequentatrici con la scusa di formare un gruppo con lo stesso cognome o fesserie simili).

5) Essere insistenti è sempre sconveniente. Trascorso un po’ di tempo dall’invio di una richiesta di amicizia, si può fare un solo altro tentativo con diffusa spiegazione, poi basta.

6) E' perfettamente legittimo (anzi, consigliato) ignorare la richiesta di amicizia se non proviene da fonte certa e non è corredata da una spiegazione.

7) E' altrettanto legittimo ignorarla anche se proviene da buoni conoscenti; va però preso in considerazione che una mancata risposta, in questo caso, è scortese. A costo di essere crudi, meglio rifiutare motivando (esempio: più di 50 "amici" mi sono imposto/a di non avere, scusami!).

8) Se c’è qualcuno che conosciamo in rete, inutile sollecitarlo con richieste di chat perché siamo nel bel mezzo della pausa caffè: magari lui/lei non lo è.

9) E’ naturalmente consentito formare gruppi strampalati (ce ne sono ben oltre le appartenenze politiche o di tifo calcistico, basta farsi un giro in rete), ed invitare i propri amici ad aderire, ma senza eccedere.

10) E' possibile, talvolta utile, diffondere le proprie iniziative professionali: non va dimenticato che chi si trova in rete lo fa per una sua libera scelta; ma non si può essere invadenti, e meno che mai permettersi rimproveri per una eventuale mancata riposta.

11) Il turpiloquio (ammesso in circostanze "domestiche" o di stretta amicizia, anzi, in alcuni casi liberatorio!), andrebbe limitato ai gruppi che lo condividono.

12) Attenzione che la rete resti un mezzo di comunicazione e non finisca diventare dominante. In Giappone questa forma di mania è già una malattia sociale.

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