IL PRANZO DI LAVORO


27/05/2015

Tutti siamo perseguitati dalle cose da fare: a ogni ora del giorno e della notte c'è qualcuno che ha diritto di dirci che cosa dobbiamo o abbiamo dimenticato di fare. Così è anche per il pranzo, ultimo "ostaggio" del tempo dedicato al lavoro, che inesorabilmente diventa spesso occasione di scambio d'opinione con colleghi o superiori, o di contatto coi clienti.

Per la buona salute (a meno che si tratti di scelta: e dove c'è gusto non c'è perdenza), si dovrebbe "mangiare per lavoro" il meno possibile, ma siccome non sempre si puote ciò che si vuole ecco qualche indicazione, in caso di necessità, sul "come".

L'ora varia molto a seconda delle esigenze, dalle 13 alle 14,30, addirittura alle 15, al di là della regola generale che vuole al nord si mangi prima, il che, peraltro, non è più nemmeno tanto vero. Di rigore invece la durata: non dovrebbe superare i 45 minuti: bisogna pur tornare al lavoro, no?

Gli inviti sono informali, basta una telefonata o una mail oppure semplicemente "ci si mette d'accordo": ora e luogo. E che il locale sia lussuoso non è indispensabile, anzi. Altrettanto informale la sistemazione a tavola: unica raccomandazione, non restare tutti lì in piedi a sdilinquirsi in moine per scegliere come sedersi (cosa che può causare piccolo imbarazzo ai commensali e disturbo agli altri avventori).

Il menu deve essere commisurato all'esigenza da affrontare, e che ciascuno si regoli anche tenendo conto delle scelte altrui (insomma, andrebbe evitato chi un'insalata, chi primo e secondo). Quando si tratta di un gruppo di colleghi, un piatto di solito è abbastanza, mentre dovendo incontrare qualcuno d'importante può non bastare e le portate - possibilmente scelte in anticipo per tutti, se si è in parecchi - è meglio siano due. Il vino basta un bicchiere, sempreché si sia in più d'uno a gradirlo.

Se resta tempo, il caffè va bene anche non prenderlo sul posto (magari con la scusa di avere a portata di piedi un bar dove è molto buono o lo offrono con cura particolare): ove servisse, quattro passi dopo mangiato possono regalare qualche chiacchiera appena più riservata.

Chi paga? Fra colleghi si va a turno oppure si divide "alla romana", come si dice (anche se a Roma non accade più spesso che a Piacenza, anzi). Se invece c'è un cliente di mezzo (in caso di incontro tra professionisti), dovrebbe essere lui a pagare; altrimenti (incontro tra due aziende) il compito spetta al più alto in grado, così come nel caso in cui il pranzo fosse fra dipendenti.

L'importante è che il pagamento avvenga nel modo più veloce e fluido possibile, per evitare equivoci e contrattempi. Specie se si temono intoppi, non è sbagliato mettersi d'accordo prima con il ristoratore perché il conto nemmeno giunga in tavola.

Così, finito di mangiare, chi ha discretamente provveduto alla bisogna fa il gesto di andar via e di fronte alla sorpresa (che va quantomeno simulata) di chi c'è, scivola sul problema usando una formula vaga del tipo: "Possiamo andare" oppure "E' tutto a posto". Gli altri ringrazieranno, con calore ma senza esagerare. Da evitare scene, strattoni e portafogli allungati all'oste: "Ahhh! NOOO! Perché? Non dovevi, insisto, faccio io, NON scherziamoooo": a meno che non si abbiano buone ragioni per non accettare nemmeno un caffè da chi ha pagato (ma in questo caso perché ci si è andati a pranzo?), si tenga a mente che accettare con grazia è cortese tanto quanto offrire.

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